Esattamente cent’anni fa si formano le grandi organizzazioni di massa. È l’inizio dei sindacati, partiti politici democratici, leghe dei proprietari terrieri, anziché industriali. Confindustria, fondata nel 1910, sposta la propria sede da Torino a Roma nel 1919 e sapete perché? Per proteggere gli industriali affiliati dagli emergenti sindacati dei lavoratori. Tutto inizia dai sindacati? Quasi. Nel diciannove vengono fondati i Fasci Italiani di Combattimento. Un’organizzazione elitaria, nata dal Fascio d’azione rivoluzionaria, il movimento interventista dei socialisti. Entrambi creazioni o trasformazioni del (non ancora) Duce.
Siamo agli albori della società di massa. Il paese passa dal primo settore, l’agricoltura, all’economia manifatturiera. Gli industriali sono la nuova aristocrazia. Fiat, Pirelli, anziché Marelli o Ansaldo, hanno uno strapotere, il lavoro minorile è regola, l’analfabetismo pure e le donne sono retribuite esattamente metà degli uomini. Agli sgoccioli della seconda rivoluzione industriale tutto questo è normale. Il paese viene elettrificato, i tram sostituiscono le carrozze trainate da cavalli, si inizia ad asfaltare le strade e bonificare le paludi.
Perché crebbe l’esigenza di congregarsi in sindacati?
Il mio analizzatore di testo lampeggia, indicandomi che l’introduzione di questo articolo è abbastanza difficile da leggere. Lo so. Purtroppo il periodo storico del quale vi racconto è il più complesso della storia della civilizzazione. In un breve lasso di tempo, meno di 100 anni, accadono tantissime cose. Pensate, appena terminata la terza guerra d’indipendenza nel 1866 e si passa da un potere puramente aristocratico al potere borghese. Si passa da un’economia agricola alla prima industrializzazione, dalla società tribale alle masse. Soprattutto si passa dalla vita prevalentemente campestre alla vita nei grandi centri urbani, corrispondenti ai luoghi di lavoro di massa. Eccoci dunque all’inizio delle grandi produzioni di massa e l’esigenza di porre rimedio al potere degli industriali verso i lavoratori. Lavoratrici e lavoratori tenuti in stato di semi-schiavitù, esposti al dispotismo e la prepotenza dei “padroni”. La Belle Époque era bella solo per pochi.
L’inizio dell’era delle folle era un periodo di destabilizzazione, i sindacati davano risposte e soprattutto riuscivano a mediare tra le parti.
Iniziano ad organizzarsi anche i contadini in sindacati agricoli
Se la massa di lavoratori nei centri urbani non se la passava bene, chi lavorava la terra era messo ancora peggio. Qui le vessazioni dei proprietari terrieri verso mondine e braccianti erano la quotidianità. Parliamo di tempi dove oltre tutto malaria, pellagra, colera e pure la sifilide falciavano vittime. La vita con la pandemia era normale. La spagnola era percepita come una delle tante. Per avere un’idea vi invito a guardare il film Novecento di Bernardo Bertolucci. È un film duro, spesso violento, che non trascura la cruda verità del passaggio dal 1900 all’avvento delle masse e poi al 25 aprile del 1945 con la Liberazione e la fine del fascismo.
Un altro film che vi dà una buona idea della vita in Val Padana all’inizio del secolo scorso è L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. Meno violento, ma non per questo meno reale, anzi. Il racconto di quattro famiglie di braccianti agricoli, abitanti di una cascina bergamasca lascia certamente una forte impressione. Nel nostro contesto ci fa capire perché nascono i partiti socialisti e i sindacati, mentre contemporaneamente crescono imperialismo, nazionalismo, industria bellica e le crisi economiche e di materie prime, che condurranno alla prima e la seconda guerra mondiale. Sembra una fine e invece tutto inizia dai sindacati, anche la società delle masse e la presa di coscienza sulla psicologia delle folle. Le due cose sono infatti strettamente connesse, basta a pensare quali risvolti ebbe la crisi del grano provocata dal regime fascista, quando Mussolini sognò l’autarchia produttiva e fece introdurre i dazi sulle importazioni di materie prime.
L’importanza delle mobilitazioni e della protesta sindacale
Il mio analizzatore lampeggia in continuazione. È un testo piuttosto difficile e di satirico non ci trovate nulla, lo so. Come dissi poc’anzi con l’avvento della società di massa ci si rende conto che questa “massa” ha una psicologia. Non è quindi una massa di individui intelligenti che aggregandosi moltiplicano la loro intelligenza, no tutt’altro. “La massa è intelligente quanto il più melenso dei suoi membri” cita la psicologia delle folle secondo Le Bon. Questo significa che ha bisogno di guida, visto che la folla è istintiva, emotiva e poco calcolabile. Così le folle portano all’avanzamento di individualismi da un lato e Mussolini, anziché Napoleone ne sono l’evidenza. Dall’altro canto c’è la necessità, appunto delle masse, di organizzarsi in comitati e sindacati, con portavoce abili che possono difendere l’interesse comune.
L’uomo forte al comando è la volontà delle masse esattamente come lo è il sentirsi rappresentati. Il voto plebiscitario sulle nomine dei capi sindacali è in quel momento il massimo di espressione democratica. Parliamo di un’epoca dove il suffragio universale è una chimera. Il voto per tutti resterà un sogno fino al 1945 con l’introduzione del suffragio universale nella Costituzione. I sindacati aiutavano a coprire la mancanza di rappresentanza politica per chi non aveva voce, ovvero praticamente tutti, tranne la classe dirigente. Iniziamo allora a parlare di classi e lotta di classe.
Certamente anche un opportunista come Mussolini si piegò alla volontà delle “masse” presentandosi infine come l’uomo della provvidenza, guida del PNF. L’ennesima trasformazione dei Fasci di combattimento avviene nel novembre del 1921, quando Mussolini presenta il Partito Nazionale Fascista. Lo stesso partito dei fasci che un anno dopo marcerà su Roma.
Tutti iniziano a marciare, anche le élite in camicia nera
Mentre sale, anche grazie ai sindacati, la consapevolezza democratica e ricordiamolo, i fasci di combattimento erano democratici e liberali all’inizio, sale anche il malcontento dei lavoratori e contadini. Chi lavora la terra non è proprietario e chi è proprietario decide secondo libero arbitrio quanto e quando retribuire i propri braccianti. I sindacati agrari iniziano a manifestare. Lo stesso succede nelle città, dove i lavoratori in rivolta verso i propri datori di lavoro si organizzano e scioperano fermando praticamente tutta l’economia tramite dei duri scioperi ad oltranza, settore per settore. Aumentano gli scontri sociali anche tra i diversi gruppi sindacali, tra le classi, inizia una vera e propria guerra dei poveri.
E i fasci? Giusto per ricordarlo, i fasci da combattimento si formano in parte da soldati tornati dal fronte della prima guerra, tanti delusi e superstiti di Caporetto. Dall’altra parte ci sono “capò” agrari rimasti disoccupati, tanti giovanotti benestanti “figli di”. Insomma i fasci erano un’unità molto eterogenea, ma comunque elitaria perché inizialmente non rivolta alle masse, anzi. In campagna le squadracce andavano a pestare i contadini rivoltosi per conto dei proprietari terrieri, mentre nelle città trattavano con manganelli gli operai scioperanti e i sindacalisti. Si potrebbe parlare di braccio armato degli industriali e dei proprietari terrieri. Solo dopo il 1921, con la fondazione del PNF e la trasformazione da movimento a partito i fascisti si rivolgono a lavoratori e con questo alle masse. Adesso il PNF diventa un partito di massa, anche se inizialmente con scarso successo.
Prima gli Italiani? Ma solo quelli del sindacato fascista!
Tutto inizia dai sindacati, nel vero senso della parola. Infatti una delle prime cose che farà Mussolini, appena eletto Presidente del Consiglio, è vietare ogni genere di sindacato, tranne il sindacato fascista. Fine della rappresentanza politica dei lavoratori.
Lo so questo articolo è lungo e difficile e siamo ancora agli anni venti, ma cerco di sintetizzare, lo prometto!
Quindi faccio un volo temporale,
non prima di menzionare che tanti sindacalisti si sono trovati al confino, in galera o sotto stretta osservazione della polizia speciale di Mussolini. I sindacati verranno ristabiliti solo dopo la liberazione d’Italia, quando i veri patrioti tornano a rappresentare lavoratori, braccianti, donne, anziani e bambini. I sindacati nel dopoguerra fungono come posto d’aggregazione, organizzano la ricostruzione, mediano tra le industrie, le forze d’occupazione, le vedove di guerra e i superstiti. Sono anche i promotori d’istruzione e alfabetizzazione per una popolazione prevalentemente analfabeta. O veramente pensavate che Mussolini avesse insegnato leggere e scrivere a tutti gli italiani? I sindacalisti hanno lasciato nell’armadio la veste della resistenza per mettersi la tuta blu di giorno e di sera l’abito dell’insegnante. Peccato che oggi questo fatto storico non venga riconosciuto o anzi, sia stato sistematicamente dimenticato.
Anni cinquanta, anni sessanta, anni del boom
La maggior parte della lotta sociale per i diritti dei lavoratori, pensionati, emancipazione, istruzione pubblica e sanità si svolge tra gli anni sessanta e settanta. Lo scontro sociale per la redistribuzione e l’equità è palpabile. Ancora una volta si scontrano destra liberista (ed eversiva) contro la sinistra estremizzata, antiborghese. I sindacati sono tra i fronti, sulle barricate anche loro lottano per la giustizia sociale. Lo sciopero come mezzo di lotta sociale è all’ordine del giorno e i portatori di queste battaglie sono primariamente i sindacati. La cosa buffa è, che praticamente tutti aderivano allo sciopero, oggi siamo 20-30% degli iscritti sindacali che veramente scendono in piazza. Pensiamoci, migliaia di persone protestano contro greenpass, mascherine e vaccini, ma meno di un terzo degli iscritti sindacali lottano per pari opportunità, inclusione, diritti e sicurezza sul posto di lavoro.
Vi ho raccontato come i NAR assaltarono Radio Donna, ma non era affatto l’unico attacco dei neofascisti alla sinistra operaia, anzi, in realtà tutti gli attentati “neri” avevano esattamente lo stesso scopo. Far tacere le “zecche rosse” e magari sovvertire l’ordine democratico. Del golpe Borghese ne parleremo certamente ancora su queste pagine, ma per chi volesse approfondire segnalo questo libro.
Diritto di sciopero – lo strumento per farsi sentire
Si arrivò a tanto perché la lotta sociale, le mobilitazioni, scioperi e manifestazioni di piazza erano cose sentite e condivise. Ci si andava, punto. Non solo perché ci si sentiva obbligati dal proprio gruppo d’appartenenza o classe sociale, ma soprattutto perché si credeva nella possibilità di mobilità sociale. Il mantra era: “basta crederci e tramite lavoro e impegno certamente si potrà progredire”. Infatti quasi tutti abitiamo nelle case di proprietà costruite dai nostri genitori o nonni proprio in quel periodo storico. Ad esempio la scala mobile, introdotta nel quarantacinque e rivisitata negli anni settanta, segue proprio la logica di progressione sociale automatica. Ricordiamoci, non esistevano i socialnetwork, allora ci si passava volantini, si appendevano manifesti e si organizzavano serate sindacali per comunicare e condividere i programmi. Oggi è tutto più semplice, no? E allora perché non si sciopera più?
Concludo da dove ho iniziato, dai sindacati e perché oggi non si sciopera
Se sei un sindacalista oggi sei uno “sfigato”, un traditore antipatriottico. Le dure e ingiuste critiche rivolte a Giuseppe Conte e agli esponenti di LEU e M5S per aver detto di dover aprire al dialogo con i sindacati lo dimostrano. Le élite si vendicano tramite un tweet, un articolo sul giornale o semplicemente denigrando chi è il primo danneggiato delle logiche lobbistiche sul “mercato del lavoro”, ossia i disoccupati. Non passa un giorno che non si critichi il Reddito di Cittadinanza e i percettori di esso, calunniati per giunta come truffatori e parassiti fannulloni seduti sul divano. Non si critica un sistema macroeconomico marcio ingiusto ed elitario, che provoca chi è tra gli ultimi, i precari, a prendersela con chi ha meno di loro. Disoccupati e migranti, zimbelli della lotta tra poveri.
Chiaramente in questa situazione, riders, braccianti agricoli e precari di ogni genere, non scendono in piazza. Quelli che avrebbero più bisogno rimangono a casa, sottopagati e con turni massacranti.
I social hanno ucciso i sindacati, come volevano le élite finanziarie
In quest’ottica lo sciopero stesso diventa elitario. Le nuove élite sono le persone che hanno una certa stabilità lavorativa, un posto fisso. Chi non rischia di essere messo fuori con un SMS, piuttosto che un messaggio What’s App, può permettersi il lusso di scioperare. Peccato che queste persone spesso se ne guardano bene dal farlo, onde evitare di essere messi sotto pressione.
Oggi lo sciopero è diventato anacronistico, ha perso sex-appeal, nonostante non ci sia mai stato più bisogno di sciopero e diritti civili sin dal dopoguerra. Il Covid ha mandato in tilt la coesione sociale. I social media ci isolano con la logica delle piattaforme. Chi non è con me è contro di me e viene bloccato. Ci interessiamo solo delle cose che meritano un “mi piace” o una condivisione su Twitter, mentre le cose che ci fanno riflettere o che necessitano confronto vengono bloccate. In questa maniera restano bloccati i sindacati, i diritti civili, la sicurezza sul posto di lavoro, l’emancipazione…
Puzzer e Tuiach gli eroi di Confindustria
Così capita che gli eroi novax, anziché No-Greenpass beccano i “mi piace” su Facebook e riempiono le piazze, mentre la protesta degli insegnanti viene disertata. Avete presente l’asinello con la carota davanti al naso? Domandatevi a chi conviene dimenticare i diritti della scuola e dei professori. Certamente i sindacati hanno commesso errori, sono stati spesso troppo accondiscendenti e arrendevoli alla logica dei “padroni”. Ci sono stati degli scandali, delle ruberie, sono d’accordo. Però sono gli unici scesi in piazza contro le morti sul lavoro, per la scuola, per salari dignitosi e contro la logica delle multinazionali di licenziare tramite SMS. Voi però siete liberi di rincorrere la carota.