Questa sera ci incontriamo per discutere un conflitto che non dovrebbe esistere. Un conflitto che vissuto day by day c’è, ma non c’è veramente. Premetto che non credo in frontiere e confini, non credo nel concetto di nazione, credo a popoli che convivono e che si distinguono per tradizioni, cultura e perché no, religioni, per chi ci crede. Io no, amo la differenza, perché sono ricchezza, colore, gusto e profumo.
Una storia tra Tel-Aviv e Yerushalaim
Nel lontano 1996 vado in Israele per studiare ebraismo. È l’anno dopo l’uccisione di Izak Rabin da parte di Ygal Amir, un nazionalista radicale e integralista ebraico. Comunque la mia situazione abitativa iniziale è abbastanza fluida, infatti vado da una “comuna” all’altra finché trovo una mobile-house nei pressi dell’aeroporto Ben Gurion.
A questo punto però non voglio annoiarvi con approfondimenti politici o analisi geopolitiche, per le quali ci sono perone molto più esperte di me. Vorrei semplicemente raccontarvi una storia. Studiare a Gerusalemme, Yerushalaim in ebraico.
Come detto, abito in un villaggio Zafriya nell’area metropolitana di Tel-Aviv, Gush Dan. Per arrivare a Gerusalemme ho la possibilità di prendere l’autobus fino in stazione centrale di Tel-Aviv e poi, (no non prendo il treno, è una stazione di autobus), la corriera fino a Gerusalemme. Oppure…. prendo il taxi! Ora qui in Italia immaginiamo un taxi come macchina bianca con tachimetro, autista e passeggeri. In Israele il significato di taxi poteva essere così oppure un autista, un pulmino e tanti passeggeri che vogliono andare in luoghi sullo stesso percorso. Lo so, per le menti europee queste cose sono poco comprensibili. Lo era anche per me all’inizio.
Ovviamente il percorso di prendere l’autobus per andare fino a Tel-Aviv e poi prendere la corriera era piuttosto lungo, anche perché parliamo di una distanza di circa 50 km, non un viaggio lunghissimo. Lo feci un paio di volte finché incontrai una ragazza alla stazione dell’autobus, che mi disse di andare col taxi, del tipo: “ci metti meno e costa la metà”. La seguì e andammo alla stazione dei bus, ma dalla parte opposta, si fermò un Ford Transit bianco, senza tachimetro, con un palestinese alla guida. Montammo e io rimasi abbastanza sorpresa. Aveva ragione la ragazza, ci mettemmo metà del tempo, anche perché Zafriya è praticamente a metà strada tra Tel-Aviv e Gerusalemme. Questo metodo di trasporto divenne quindi il mio mezzo di trasporto per arrivare ovunque volessi andare in Israele.
Un autista palestinese
Nel tempo e visto che gli orari di scuola erano sempre gli stessi, incontrai questo autista spesso, anzi, mi diede il numero di telefono e lo chiamavo per mettermi d’accordo per il viaggio andata e ritorno. Uno dei primi scambi di battute che ho avuto con lui era sul motivo perché facesse questo genere di lavoro. Lui mi disse che erano soldi buoni, poteva far studiare i figli e che comunque non ci sono israeliani che fanno questo genere di pick-up service dalle stazioni degli autobus. Cosa che avevo notato infatti, chi si fermava alle stazioni percorrendo le medesime tappe degli autobus di linea erano palestinesi, sempre.
Il conflitto che c’è ma non c’è
Mese dopo mese mi resi conto che, pur essendoci un conflitto, c’è una convivenza quasi obbligata tra i due popoli. Netturbini, costruttori, tassisti, ristoratori palestinesi convivono con cittadini israeliani, studenti, soldati, impiegati, corrieri e netturbini anche loro.
Un evento abitudinale era andare alla sera del shabbat a Yaffo, un quartiere palestinese di Tel-Aviv a mangiare i Knafeh, un dolce (tanto dolce) con formaggio fuso, pistacchi e pasta a filo. Una delizia.
Il resto lo leggerete domani su questo blog…
Ma non è libero un popolo che ne opprime un altro, come ci disse il nostro vecchio amico di origine ebraica Karl Marx!