Avete presente quando raccontate di un evento della vostra vita e vi rendete conto che avete esagerato e magari così esageratamente fantastico come l’avete descritto forse non era? Però dai, il “una volta era tutto più bello” lo conoscerete sicuramente anche dai racconti di altre persone. Chi non ha qualche zia o nonna che ingigantisce, abbellisce, esagera. Comunque anch’io! Anch’io avevo un ricordo di un libro che mi sembrava più bello, più fantastico o forse semplicemente, non ricordandolo bene, cercavo qualcosa che non c’era. L’isola che non c’è nella letteratura.
Prima di tornare sul libro di Berizzi, di cui vi raccontai ultimamente, voglio fare questa piccola escursione e presentarvi un libro diverso da quello che leggo usualmente. Appunto il libro dell’autore Dino Segre, che si firmava con il pseudonimo Pitigrilli. Un vero enfant terrible della letteratura leggera italiana. Uno che non si fermava appunto all’- “una volta era tutto più bello”, ma raccontava fuori dagli stereotipi dell’epoca. Segre era nato nel 1893, quindi il tempo dei suoi romanzi fu il periodo della Belle Époque.
Cocaina tra l’altro è un libro dal titolo ingannevole, perché sì racconta proprio di quella cosa lì, senza nascondere il peccaminoso, lo squallore che la droga porta con se, ma c’è dell’altro. Soprattutto è il racconto della Parigi degli anni venti, almeno io pensavo che lo fosse.
Una volta Cocaina era più bella
La storia di quel libro in realtà inizia così: Lo lessi quando avevo più o meno 25 anni e ne rimasi affascinata. Non potevo immaginare che la mia nonna potesse fare delle robe del genere. Altroché “una volta era tutto più bello”, hai voglia, superava di gran lunga la mia immaginazione. Poi, tra le fasi più eccitanti della mia vita, persi il libro. Cosa che rimpiansi molto, visto che il libro che possedevo era una delle ultime edizioni che fu stampate. Il signor Dino Segre, dopo essersi convertito al cattolicesimo, decise di impedire le ristampe dei suoi primi romanzi. Proprio quelli interessanti, quelli spinti.
Gli anni passano, dimenticai quel libro. Poi nel tempo, circa 25 anni dopo, inizio ad interessarmi per l’avvento delle folle, la società delle masse e di conseguenza il periodo storico dove tutto ciò avviene, la Belle Époque. Mi ricordo di quel maledetto libro e inizio a cercarlo. Alla fine lo trovo su Ebay, intanto oggi si trova tutto lì, lo prendo, in tedesco e anche per pochi euro. Grandioso, finalmente.
14 giorni dopo e Cocaina c’è – Evviva!
Sono felicissima, apro e vedo le pagine imbrunite dell’edizione tascabile del 1988, esattamente la stessa che avevo perso – Destino! Penso che lo metterò da parte per leggerlo nei momenti di relax o quando veramente voglio godermi questa lettura. lo tratto come una reliquia. Non oso neppure leggere l’introduzione.
Finalmente lo leggo
Tra un libro e l’altro, trascorre un po’ di tempo in attesa sul mio comodino da letto, prima che finalmente lo prendo in mano e inizio a leggerlo. Sin da subito mi devo abituare a due cose: 1. la traduzione in tedesco, che spesso mi lascia un po’, diciamo, perplessa. 2. La lingua italiana del 1921 tradotta in tedesco degli anni cinquanta. Mica male come esercizio intellettuale. Ma una volta non era tutto più bello? Apparentemente no.
Dopo i primi capitoli arrivo subito a ciò che mi piacque quand’ero giovane. Il racconto di una festa orgiastica in una villa di Montmartre in possesso di una asiatica bellezza misteriosa. Un classico festino si direbbe oggi. Droga, sesso, musica e giovani che colgono i frutti proibiti nel giardino dell’Eden. Punto. Da lì in poi le vicissitudini di Tito Arnaudi, la misteriosa Kalantan, Maud la danseuse piemontese e seconda amante di Tito, oltreché cortigiana, iniziano a perdere fascino. È proprio vero, “una volta era tutto più bello” e non permetterti di andare a controllare se fosse stato veramente così.
Scopro un romanzo, un po’ lucubro, un po’ traviato, anzi un romanzo che dietro ad una veste peccaminosa e scandalosa, nasconde un triviale ménage a trois. Tutto reso ancora meno attraente da una lingua che ormai non è più la nostra, visto il mezzo secolo passato dalla traduzione e quasi un secolo dal racconto originale. Però “tieni duro Tanja”, proseguo la lettura. Chi sa se…
Non è vero che una volta era tutto più bello, lo ammetto!
Non è nemmeno come me lo ricordavo. Io che cercavo Montmartre, il Moulin Rouge, l’Assenzio e gli artisti impressionisti in balia della fata verde e le ballerine del Can-Can e invece no. Nulla, se non un paio di accenti di quello che la mia immaginazione fece di quel romanzo. Però trovai altro, minimo quanto sorprendente come il festino sopra descritto.
Ho trovato misoginia e non poca. Nel racconto di questo giovane emigrato, (sì proprio un migrante), Tito Arnaudi, che emigra dal Piemonte a Parigi per cercare lavoro, anzi un occupazione, o forse solo un avventura, c’è un ammasso di pregiudizi nei confronti delle donne, che ti rendi conto quanto brutta era quell’epoca per le donne. Il piacere della donna nell’atto sessuale fondamentalmente serviva solo a due cose: 1. a procreare e 2. per rendere l’atto più piacevole all’uomo. Il terzo sarebbe l’atto impuro per garantire la sopravvivenza alle donne povere, quelle senza possibilità di procacciarsi un buon partito, per intenderci. Tutte puttane, in un modo o nell’altro.
Inizio a comprendere perché il destino mi ha condotta alla ricerca di questo libro. Comprendo che un libro non deve per forza essere bello o piacevole nella lettura. Non dev’essere nemmeno linguisticamente buono da leggere. Talvolta si legge un testo e quello che ti dà è una profonda comprensione di determinate situazioni ed è proprio questo il caso di Cocaina. Non è bello, non è nemmeno scritto bene, e, tranne poche eccezioni, non descrive nulla di interessante, ma ti fa comprendere la misoginia diffusa del 1921, un anno prima della marcia su Roma. Un anno prima che il fascismo rendesse la vita delle donne un inferno.