Come vi avevo detto nel mio ultimo pezzo, questo blog è un percorso. Il mio percorso intellettuale, spirituale, ma anche reale. Un percorso nella mia città ad esempio, accompagnata dal libro di Paolo Berizzi. Una Verona che stentavo ad accettare e che ho cercato d’ignorare. Non serve però, anzi non è possibile non rendersi conto che è gradita la camicia nera e lo si percepisce benissimo.
Questo libro mi ha scossa, nel vero senso della parola. Se è vero che la nostra percezione può essere ingannata, allora è anche vero che la nostra consapevolezza dipende non solo dalla conoscenza, ma anche da ciò che si vuole accettare. Io non volevo accettare di vivere in un covo neonazista e neofascista. Rifiutavo questa orrenda smorfia della mia città. Minimo quanto non accetto il mito della città dell’amore basata su un falso storico e montato ad arte durante il fascismo.
Nero su bianco Berizzi descrive la Verona dei butéi
Leggere nero su bianco cosa nasconde Verona dentro le sue mura, nemmeno troppo velatamente, fa tutto un altro effetto che solo saperlo ma poterlo ignorare. “È gradita la camicia” nera è un racconto dettagliato attraverso città e provincia nei luoghi che conosco come la mia borsa. Paolo Berizzi racconta dei “braij butéi”, quelli che hanno il mito degli “schei”, vestono firmato e si radono la testa. I butéi, tutti bravi ragazzi che fanno parte della tifoseria calcistica più oltranzista d’Italia. Non importa nemmeno tanto che i successi dell’Hellas-Verona sono parecchio sbiaditi; ai ragazzi della Verona-Bene con la svastica camuffata, lo stemma di Can Grande o la croce celtica tatuata sul polpaccio, piace creare miti. Quei ragazzi che conosco con nome, indirizzo e numero telefonico. Spaventoso, veramente spaventoso.
Questione identitaria che si lega a camicia nera e falsi storici
Ancora più preoccupante però è il fatto che i butéi sono entrati nei palazzi, gestiscono il potere, (per modo di dire), sono interconnessi con organizzazioni internazionali, (veramente globalisti), mentre a casa creano un feudo post-medievale, integralista e identitario. Una cultura che si regge sui miti come le Pasque Veronesi o il Venerdì Gnoccolaro. Qualcuno ha mai detto al Comitato Bacanal Del Gnoco che la patata venne introdotta nell’alimentazione italiana, e quindi anche veneta, solo nel diciottesimo secolo? Non importa, grazie alla camicia nera si passa da un falso storico al prossimo senza tanta fatica. Dalla città dell’amore alla città dell’odio dei fasci, in un attimo.
Verona medaglia d’oro della Resistenza
Eppure un altra Verona c’è e come. Non porta camicia nera e non batte i tacchi. Non urla “goal” e non usa il megafono. C’è una città piena di cittadini che non si identificano nel simbolo della Scala gialla-blu, ma piuttosto nei medici ed infermieri che hanno combattuto il Covid e assistono coraggiosamente gli anziani nelle RSA. Gli anziani, tanti di loro superstiti della seconda guerra, anzi qualcuno pure della Grande Guerra, quelli sì che sono miti. Ci sono cittadini veronesi disposti ad ascoltare le loro storie di resilienza al fascismo e di resistenza al regime del Partito Fascista Italiano prima e della Repubblica Sociale di Salò poi. Storie di partigiani sì, ma non solo. Sono le storie dei nostri nonni e bisnonni. Storie che si raccontano con voce fievole. Una voce che diventa sempre più tenue con più vengono a mancare i testimoni dell’epoca. Chi sa cosa avranno pensato questi nonni quando nel 2008 un branco di naziskin uccisero a calci e pugni Nicola Tommasoli per non aver ricevuto la sigaretta richiesta. Nicola non fumava e antifascismo è anche ricordare le vittime dei fascisti del terzo millennio.
Se è gradita la camicia nera a certi, allora io devo fare qualcosa!
Durante la lettura del libro mi resi conto della rabbia che cresceva in me. La conosco bene, è una mia alleata. È quella rabbia che mi spinge d’andare oltre ai miei limiti, intellettuali, spirituali e fisici. No è vero, io da sola non riesco a fare tanto, come scrivere questo articolo nella speranza che la gente lo legge e magari acquista il libro. Da sola ho fatto poco, tranne contattare i miei amici. Insieme creiamo un Comitato Antifascista, contattiamo ANPI Verona, la comunità ebraica, lo street artist Cibo che copre le svastiche sui muri e viadotti con wurstel e brioche, un paio di giornalisti di Fanpage. Informo Paolo Berizzi che parlo di lui sul mio blog, determiniamo una data e cerchiamo una sala. Faremo una serata all’insegna della Memoria, dell’Antifascismo Veronese, contro l’odio e per la Verona moderna, accogliente, europea e bella, come la ricordo io. È deciso, nonostante Covid, neonazisti, costi, fatiche e con le poche risorse che abbaiamo. Si fa, nonostante tutto.